22.7.25

K772

# Il ‘fenomeno Trump’ è interessante anche perché i suoi risvolti non si limitano alla politica, ma coinvolgono aspetti sociologici e psicologici che ci dicono molto sulla civiltà nella quale viviamo. In poche parole: Trump ha vinto per due volte la presidenza americana in quanto è riuscito a costruire intorno alla propria figura un ‘brand’, seguendo l’esempio delle aziende di maggior successo in questa fase di capitalismo avanzato (potrei dire di ‘capitalismo putrefatto’, ma non voglio risultare troppo polemico). Su questo tema si può consultare l’esauriente saggio di Naomi Klein “Shock Politics” che tratta della prima presidenza Trump, ma si dimostra profetico per quanto riguarda la seconda.
Al giorno d’oggi … (non voglio fare nomi, ma l’elenco comprende gran parte dei marchi che ci possono venire in mente) vendono ai consumatori prevalentemente il loro marchio, il ‘brand’, non i prodotti fisici, che di solito provengono da uno ‘sweatshop’ in qualche paese del terzo mondo. Si è giunti al punto che le multinazionali competono su chi proietta sul mercato l’immagine più potente, avendo allo stesso tempo il minor numero di dipendenti.
Lo stesso è capitato col ‘fenomeno Trump’: il marchio è stato dapprima stampigliato su proprietà immobiliari, che garantivano agli acquirenti la possibilità di vivere nel ‘mondo di Trump’, ma questo non bastò a salvarlo dalla bancarotta. Trump allora sfruttò quanto gli rimaneva, il suo nome, per diventare l’host di uno show televisivo, "The Apprentice”, in cui ebbe la possibilità di compiere finalmente il balzo verso il ‘superbrand’, associando il suo nome all’acqua minerale, alle lenti a contatto, ai materassi e via dicendo. A questo punto Trump non era più un costruttore immobiliare guardato con sospetto da banche ed istituti finanziari: la potenza del suo ‘brand’ faceva sì che altri costruttori pagassero somme notevoli per inserire il suo nome sui loro immobili, mentre le masse potevano intrufolarsi in quel mondo dorato acquistando la cravatta Trump, la bistecca Trump, oppure un libro scritto, guarda caso, da Donald Trump. 
Il salto da imbonitore televisivo a presidente degli Stati Uniti forse sembrava irrealistico perfino a lui; si può pensare che abbia partecipato alla prima corsa elettorale solo per tenere il suo brand sulla scena mediatica. Che abbia poi vinto deve aver stupito per primo il presidente eletto, il che spiegherebbe la totale mancanza di preparazione o l’assenza di una squadra affidabile, che ha portato ai risultati tra il catastrofico e il ridicolo della sua prima presidenza, ad esempio nella gestione della crisi provocata dal Covid. 
L’aver riconquistato il potere politico dopo simili disastri deve avergli dato alla testa; è l’unico modo in cui si possa dar conto della gestione irrazionale sia delle questioni economiche che della politica estera a cui stiamo assistendo nel corso della sua seconda presidenza.

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