2.3.21

K548

# La quinta parte del romanzo di Marcel Proust “Alla ricerca del tempo perduto”, intitolata “La prigioniera”, finora è quella che mi è piaciuta di meno.
Tralasciata la vivida descrizione dei rituali e delle consuetudini dell'alta società parigina, affidata a decine di soggetti tutti più o meno interessanti, qui i personaggi si riducono a due: il Narratore ed Albertine, e si impiegano centinaia di pagine nella descrizione del loro rapporto disfunzionale. Lui non ama quella donna incapace di soddisfare i suoi bisogni intellettuali; lei si fa mantenere dal ricco amante solo perché, essendo priva di qualunque prospettiva, non avrebbe altri mezzi di sussistenza: questo, invece di suscitare la sua riconoscenza, istiga forse un rancore che si traduce in continui tradimenti, mai del tutto accertati in maniera definitiva dalla gelosia del Narratore.
I due chiaramente non hanno nulla da dirsi; ne deriva che i dialoghi spariscono quasi del tutto; lo stesso accadeva nella prima parte, dedicata all'infanzia del Narratore, di cui sono riuscito ad arrivare alla fine solo perché includeva quel romanzo nel romanzo nel romanzo che è “Un amore di Swann”. Giunto a metà della “Prigioniera” ne avevo abbastanza: l'ossessione del Narratore per i presunti tradimenti lesbici di Albertine, la poco decorosa passività della stessa, le continue divagazioni senza alcun rapporto coll'oggetto della narrazione mi avevano davvero piallato le palle; sono andato avanti ugualmente sperando tornassero in scena i commenti sarcastici e la crudele ironia della duchessa di Guermantes, o perfino, in mancanza di meglio, gli scatti di umore e gli isterismi del tutto ingiustificati e, adesso me ne rendo conto, terribilmente gay del barone di Charlus.
Di questo personaggio si riparla verso il termine della sezione. Per favorire la carriera musicale del suo protetto, il violinista Morel, Charlus si è messo a frequentare gente da lui mai considerata, come i ricchi ma volgari Verdurin, che tratta con superiorità e di cui si fa beffe con le gran dame che tengono in alta stima il suo parere. Madame Verdurin, che finora lo ha tollerato solo in vista di un suo (di lei) possibile avanzamento in società, a un certo punto ne ha abbastanza e per ripicca una sera decide di staccarlo da Morel (1).

Contrariamente all’aspettativa di Brichot, Madame Verdurin non sorrise: «Quell’uomo (ossia Charlus) è immondo, disse. Proponetegli di venire a fumare una sigaretta con voi, in modo che mio marito possa prelevare la sua Dulcinea (ossia Morel) senza che lui se ne accorga, e farle capire in che baratro sta per cadere».

Il piano riesce: Morel rompe con Charlus, e con sua grande sorpresa il Narratore, che sa quanto il barone possa essere, come sua cognata Guermantes, feroce con gli ‘inferiori’ assiste a una scena che mai si sarebbe aspettato (1).

Resta comunque il fatto che, in un salotto che disprezzava, quel gran signore (cui la superiorità sui plebei non era più intimamente inerente che a qualche suo antenato in angoscia davanti al Tribunale rivoluzionario) non seppe, colto da una paralisi di tutte le membra e della lingua, che lanciare da ogni lato degli sguardi spaventati, indignati della violenza che gli veniva fatta, supplichevoli quanto interrogativi.

Per di più, dopo questa catastrofe personale Charlus si ammala di una bronchite che dati i medicinali disponibili allora lo porta più volte in punto di morte; la malattia sembra convincerlo ad un qualche ravvedimento, che però non dura (1).

Ma questo perfezionamento morale, sulla cui realtà la sua arte oratoria era d’altronde capace d’ingannare alquanto i suoi commossi ascoltatori, questo perfezionamento sparì con la malattia che aveva lavorato a suo favore. Il signor di Charlus ridiscese la china con una velocità che vedremo aumentare progressivamente.

Nota
1. Versione di Giovanni Raboni dall'edizione Mondadori del romanzo di Proust.

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