9.3.18

K247

# La Metro Goldwin Mayer produsse il film "Queen Christina" dietro insistenza di Greta Garbo, che aveva appena rinnovato il suo contratto con la casa di produzione per la cifra, a quei tempi astronomica, di 300.000 $ a pellicola. L'attrice impose anche il nome del coprotagonista, John Gilbert, col quale si diceva avesse una relazione fin da quando recitarono insieme in tre film ancora muti, ad esempio 'La carne e il diavolo' (Flesh and the Devil, 1926).
Il film fu un successo, ma soprattutto sui mercati esteri: in quelli che per gli Stati Uniti furono gli anni della Grande Depressione, il fascino algido e raffinato della diva non attirava più le masse al cinema come nei Ruggenti Anni Venti; la preferenza del pubblico era adesso rivolta a 'all-american stars' come Jean Harlow o, fra i maschi, Clark Gable. Proprio con questa pellicola Garbo entrò nella fase discendente della sua carriera, che si concluse nel 1941, con 'Two Faced Woman' di George Cukor, quando l'attrice aveva 36 anni. Dopo di allora Garbo condusse per quasi cinquant'anni una vita appartata, lontana dagli ambienti che negli anni della sua giovinezza l'avevano definita 'Divina', morendo infine a New York nel 1990.
L'interesse di Garbo per il personaggio della Regina Cristina poteva forse far presagire quanto le loro vite avrebbero finito con l'assomigliarsi: entrambe svedesi (l'attrice nacque vicino a Stoccolma nel 1905), entrambe mai sposate, entrambe rinunciarono ad una posizione di privilegio per non scendere a compromessi che ritenevano inaccettabili. L'analogia potrebbe estendersi alla vita privata: Garbo visse sola per tutta la sua esistenza da adulta, e le relazioni maschili cedettero sempre il passo a molto più intense amicizie femminili, come quelle con le star del cinema muto Lilyan Tashman e Louise Brooks, o la scrittrice Mercedes de Acosta.
La natura o portata di queste amicizie non è cosa che ci riguardi; Garbo ha diritto a veder rispettata la riservatezza che ricercò per tutta la vita, anche quando era sotto la luce dei riflettori. Inoltre, come uomo, riterrei davvero poco galante avanzare ipotesi di qualunque tipo; tutto ciò deve restare avvolto nel mistero che tanto bene si confà a quella che Goethe chiama 'Eterna Femminilità'.

 

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