4.2.20

K435

# Uno dei testi fondamentali dell'ideologia neoliberista è senza dubbio “La fine della storia e l'ultimo uomo” di Francis Fukuyama (1992). In esso il ‘political scientist’ ed economista americano postula la fine dell'evoluzione socio-culturale dell'umanità dovuta all'espansione ormai planetaria della democrazia liberale e del capitalismo di libero mercato.
Col senno di poi sarebbe facile farsi beffe di previsioni tanto rosee quanto sbagliate, ma invece di impantanarmi nella deprimente congiuntura politico-economica odierna voglio volare più alto, nel cielo delle idee, e lasciare l'ironia ad un pensatore come Karl Marx, il quale ha scritto (1):

Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa.

Che l'inopinato ritorno in scena del liberismo, nella scintillante versione 2.0 “Neo”, sia stato una farsa tragica di cui ancora paghiamo le conseguenze è sotto gli occhi di tutti; il riferimento a Georg Wilhelm Friederich Hegel mi consente inoltre di rilevare come fu proprio lui a proclamare per primo la fine della storia.
Secondo il filosofo tedesco essendo la libertà l'assoluto fine ultimo del procedere della storia, ed essendosi questa concretizzata nei diritti politici universali, la storia poteva ormai riposare tranquillamente nell'alveo dello stato prussiano, in cui si era incarnata la realtà della libertà concreta. Ad aver consentito il superamento della schiavitù dell'uomo fu, secondo Hegel, l'imporsi della visione cristiana del mondo, ma questo, come ha giustamente osservato, a mio parere, Marx, significa attribuire al pensiero, al concetto di realtà il potere di cambiare magicamente la realtà stessa, coltivando “l'illusione di concepire il reale come risultato del pensiero” (2).
Come questo approccio sia fallace si può dedurre dal fatto che la stessa schiavitù, quando è tornata ad essere efficiente dal punto di vista economico, è stata prontamente reintrodotta  da monarchi cristianissimi e difensori della fede, che non si sono fatti scrupolo di organizzare fiorenti traffici di schiavi verso le colonie sud o nordamericane.

Note
1. Karl Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte. Devo aver già citato più volte questa frase, ma purtroppo le occasioni per far dell'ironia non mancano mai.
2. Karl Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica (Grundrisse, 1857-58). Una posizione simile si può già rinvenire nell'attacco giovanile (Marx nacque nel 1818) ai cosiddetti “Giovani Hegeliani” nella “Sacra Famiglia” (1844), e poi ne “L'ideologia tedesca” (1846), opere scritte in collaborazione con Friedrich Engels.
Marx ribadisce il proprio pensiero nel Poscritto alla seconda edizione (1872) del “Capitale”: “Nei suoi principi basilari il mio metodo dialettico non solo è diverso da quello hegeliano, ma ne sta proprio all’opposto. Per Hegel il processo del pensiero, che egli sotto il nome di Idea trasforma persino in soggetto indipendente, è il demiurgo della realtà, mentre la realtà è solo il suo fenomeno esteriore. Invece per me il fattore ideale è solamente il fattore materiale trasferito e tradotto nella mente degli uomini.”
Nondimeno subito dopo Marx riconosce il proprio debito verso Hegel, che si rifiuta di considerare “un cane morto” come invece facevano i suoi “tediosi, arroganti e mediocri epigoni”: “Mi sono dichiarato apertamente discepolo di quel grande pensatore, e ho addirittura civettato qua e là, nel capitolo sulla teoria del valore, con la maniera di esprimersi che gli era propria. La mistificazione, cui è soggetta la dialettica nelle mani di Hegel, non impedisce in nessun modo che egli sia stato il primo ad averne esposto distesamente e consapevolmente le forme generali di movimento. In lui essa è piantata sulla testa. Occorre rovesciarla per trovare il nocciolo razionale dentro il rivestimento mistico.”

Nessun commento: