20.3.18

K250

# Nell'Iliade Diomede appare come un feroce guerriero, l'artefice, insieme ad Ulisse, della futura caduta di Troia, mentre nell'Eneide presenta tratti opposti. Rifiuta infatti di scendere in guerra a fianco dei Latini contro i profughi troiani guidati da Enea, e lamenta l'ira degli dei contro i reduci achei: le peregrinazioni di Ulisse, l'assassinio di Agamennone, il suo stesso esilio dalla città natale, Argo.

Tutto questo io dovevo aspettarmelo, certo,
dal giorno che, pazzo !, col ferro corpi divini
assalii, violai di ferita la mano di Venere.
Oh no, non spingetemi a tali battaglie:
non voglio più guerra coi Teucri, dal giorno che Pergamo
cadde; non voglio, dei mali d'allora, né memoria né gioia.
I doni, che avete portato per me dalle patrie contrade,
offriteli a Enea ...

Libro XI, versi 275-282
traduzione di Rosa Calzecchi Onesti

La conversione al pacifismo di Diomede, il suo astenersi dal combattere gli esuli troiani risulta indispensabile nell'ambito del piano programmatico del poema di Virgilio, che celebra il destino imperiale dell'Urbe, come anche l'ascesa al potere dei Giuli; questa famiglia infatti vantava di discendere nientemeno che dalla dea Venere attraverso il figlio di Enea, Iulo.

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