11.9.05

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# L'opera principale di Dante Alighieri mi ricorda un orologio a cucù. Si può ammirarne la precisione del meccanismo, la perfetta coesione delle parti di cui è composta, l'abilità di chi l'ha prodotta, ma in realtà non può dirci nulla: la visione del mondo di Dante è del tutto superata, come era già al suo tempo.

Benchè nato nemmeno cinquant'anni dopo, e suo grande estimatore, Giovanni Boccaccio non ne seguì le orme. Nella sua opera l'ordine che Dante aveva cercato di imporre all'universo si è dissolto nelle pulsioni umane, tra cui la principale risulta essere, come ci si può aspettare dopo un secolo di psicanalisi, quella sessuale. Anche Petrarca non si occupa più di un improbabile destino ultramondano, ma dei propri sentimenti umani, e fin troppo umani.
A prova del fatto che già allora l'Europa era una sola, questo processo di 'modernizzazione', non so come chiamarlo altrimenti, raggiunge il suo culmine con William Shakespeare. I suoi personaggi sono in balia delle proprie passioni e del caos; Dio è solo una parola come tante nel vocabolario, e il fatto che ai suoi tempi fosse proibito pronunciarla, pena la morte, gli ha consentito di ometterla senza che se ne sentisse la mancanza.
Se per Dante compito dell'arte era mettere ordine nel caos, dopo di lui le condizioni materiali, o meglio lo sviluppo delle forze produttive le ha assegnato l'incarico di introdurre caos nell'ordine. Tale è ancora ai nostri giorni, come visto da Adorno.

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