5.1.21

K532

# Il crollo dei regimi di stampo sovietico, negli anni fra il 1989 e il 1991, stupì innanzitutto i governi occidentali, vittime della loro stessa propaganda, eppure gli scricchiolii di quei sistemi anchilosati avrebbero dovuto essere percepiti da chiunque, e da parecchio tempo.
Fin dagli Anni ‘70 fu evidente che il cosiddetto “comunismo reale” non era in grado di competere col capitalismo di stampo keynesiano che allora imperava in Occidente; secondo una battuta circolante a quei tempi, l’Unione Sovietica aveva la migliore economia del 1890, a livello mondiale. Il che significa: non aveva senso vantarsi di produrre più ghisa o trattori agricoli dei paesi occidentali, quando quegli stessi, abbandonate da un pezzo le infrastrutture di base, erano ormai lanciati nella produzione di automobili, elettrodomestici grandi e piccoli e servizi per la persona (turismo ecc.), ossia nel consumismo, volano che alimentava il circolo virtuoso di produzione, salari, consumi ed ulteriore aumento del prodotto nazionale.
Inoltre, mentre gli alleati degli Stati Uniti (Europa, Giappone, Corea del Sud) attraversavano un periodo di sviluppo che non aveva precedenti nella storia dell'umanità, i paesi del blocco sovietico furono sempre una palla al piede della Russia, frenando ancora di più un'economia che già arrancava.
La crisi petrolifera all'inizio degli Anni Settanta, aumentando a dismisura il prezzo del greggio, diede ossigeno ad un sistema produttivo boccheggiante, viste le enormi riserve di petrolio e gas metano a disposizione dell'Unione Sovietica, ma nel lungo periodo la danneggiò in due modi:
- trasformandola a tutti gli effetti in un paese del Terzo Mondo, che smerciava materie prime in cambio di prodotti finiti, o addirittura di generi alimentari: gli Stati Uniti pagavano gli agricoltori perché non coltivassero i campi, per non far precipitare il prezzo del grano, invece l'Unione Sovietica ne produceva meno che durante l'epoca zarista, ed era costretta ad importare fino ad un quarto del suo fabbisogno;
- mentre i paesi occidentali mettevano in atto politiche di risparmio energetico che richiedevano un aumento dell'efficienza produttiva delle imprese industriali, alimentando lo sviluppo tecnologico, l'abbondanza di petrolio forniva un illusorio lasciapassare agli sprechi delle aziende statali sovietiche, impedendo la loro progressiva modernizzazione.
Se a questo di aggiunge il fatto che lo status di superpotenza, e la conseguente corsa a mantenere la parità militare con gli Stati Uniti, era da tempo al di fuori delle possibilità economiche dei sovietici, si capisce perché ai fulgidi destini del “comunismo reale” negli Anni Ottanta non credessero più nemmeno i suoi dirigenti, quella ‘nomenklatura’ ormai sprofondata nella corruzione, nel nepotismo e nel puro e semplice attaccamento ai propri privilegi.

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