20.10.20

K510

# La quarta parte del romanzo di Marcel Proust “Alla ricerca del tempo perduto” si intitola “Sodoma e Gomorra”.
Sull'argomento che il titolo preannuncia forse ritornerò in seguito, ma posso dire già da subito che ho trovato più interessante il continuo favore che la duchessa di Guermantes dimostra al Narratore. Questa preferenza deve cominciare ad apparire bizzarra anche a lei, perché la sottopone alla sua proverbiale ironia, di solito intinta in una distratta perfidia.
Una volta, uscendo da un ricevimento della principessa di Guermantes (1), al quale peraltro il Narratore ha partecipato sotto la protezione della duchessa, cugina della nobildonna, lei e suo marito si offrono di dargli un passaggio sulla loro carrozza di quella sera, non molto ampia perché non erano previsti ospiti, ed ecco come la duchessa commenta la loro sistemazione (2):

Durante il ritorno, la ristrettezza del coupé fece sì che quelle scarpette rosse si trovassero, inevitabilmente, a breve distanza dalle mie; e Madame de Guermantes, temendo che le avessero addirittura sfiorate, disse al duca: «Questo giovanotto sarà costretto a supplicare, come in non so più quale caricatura: “Signora, giuratemi subito che mi amate, ma non pestatemi i piedi in questo modo”».


Se è capace di considerare con ironica condiscendenza i rapporti con chi ritiene degno d'essere ammesso alla sua presenza, la duchessa sa anche essere feroce verso chi non le va a genio, per motivi che oggi riterremmo inesplicabili.
La stessa sera, prima dei saluti chiede al Narratore in che modo possa essergli utile, e in quale salotto del suo ‘giro’ esclusivo voglia essere introdotto; lui ha appena saputo da Robert de Saint-Loup che una cameriera della baronessa Putbus, di bellezza notevole, arrotonda la paga fornendo prestazioni sessuali, quindi pensa di farsi presentare alla nobildonna per avvicinare la domestica. Non è affatto una buona idea, come il Narratore non tarda ad accorgersi (2):

Temevo, le risposi, che il solo di cui m’importava fosse troppo poco elegante per lei.
«Chi è ?» chiese con voce minacciosa e rauca, quasi senza dischiudere le labbra.
«La baronessa Putbus.» Simulò, stavolta, un’autentica collera.
«Ah no, questo è davvero troppo, ho l’impressione che mi stiate prendendo in giro. Non so nemmeno per quale fortuita combinazione io conosca il nome di quella strega. Ma è la feccia della società ! È come se mi chiedeste di presentarvi alla mia merciaia. E poi neanche, perché la mia merciaia è incantevole. Siete un po’ folle, ragazzo mio. Comunque, fatemi la cortesia d’essere gentile con le persone che vi ho presentate, di lasciare loro il vostro biglietto da visita, di andare a trovarle e di non fiatare sulla baronessa Putbus, che nessuno ha mai sentito nominare.»

Ah, che bei tempi ! Non per nulla la chiamavano “la Belle Époque”. Essere il favorito di una duchessa che considera “feccia della società” una baronessa !
E' un vero peccato che il Narratore sia ormai immune da qualunque impulso sentimentale nei suoi confronti, avendo già sperimentato quella malattia e sviluppato di conseguenza anticorpi contro il fascino della duchessa: anche se chiaramente al di fuori della sua portata, secondo me è molto meglio della banale e fin troppo disponibile, adesso, Albertine.

Note
1. Come specifica Proust, solo i plebei (tra cui ovviamente il sottoscritto) ritengono che il titolo più elevato sia quello di principe; tutti i nobili sanno invece che è quello di duca.
2. Versione di Giovanni Raboni dall'edizione Mondadori del romanzo di Proust.

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