# Dopo la morte di Cesare gli atti da lui emanati rimasero in vigore, ma quali erano di preciso questi ‘atti’ ? Essendo Marco Antonio l'esecutore testamentario, ed avendo così accesso a tutti gli appunti di Cesare, niente gli impediva di inserire fra di loro quanto più risultasse adatto ai propri scopi, come sospetta Cicerone (1):
Ecco che Antonio, dopo aver ricevuto una grossa somma di denaro, ha fatto affiggere il testo di un disegno di legge “presentato dal dittatore nel corso di un'assemblea”, in virtù del quale i Siciliani diventano cittadini romani; di quel disegno, finché il dittatore era vivo, non c'è stata nessuna menzione.
Cicerone sottintende che Antonio se l'è inventato per intascare la somma pagata dai rappresentanti dei Siciliani allo scopo di divenire cittadini romani. Il trucco era talmente semplice che se ne avvalse anche la sua consorte di quel tempo, Fulvia, come risulta dalla stessa lettera:
Non è rassomigliante la vicenda del nostro Deiotaro (2) ? Questi certamente era degno dell'acquisto di qualsiasi regno, ma non se Fulvia faceva da intermediaria.
L'indignazione dell'ex console per l'intervento di una donna in affari di stato non manca di un risvolto molto personale, e ben poco politico o etico: Cicerone infatti era stato avvocato di Deiotaro nel primo processo a suo carico e forse pensava di poter risolvere anche questo secondo inghippo, intascando lui, e non Fulvia, la notevole commissione di dieci milioni di sesterzi.
Note
1. Marco Tullio Cicerone, Epistole ad Attico, Libro XIV, 12, 1; lettera del 22 aprile 44 a.C.
2. Deiotaro, tetrarca della Galazia, in Asia Minore, è un buon esempio delle acrobazie richieste ai potentati del tempo dalle turbolente vicende della politica romana. Nella prima guerra civile si schierò dalla parte di Pompeo, ma Cesare lo perdonò, anche perché nel processo a suo carico venne difeso proprio da Cicerone. Dopo le Idi di Marzo l'assoluzione venne confermata da Antonio, o da sua moglie Fulvia, dietro il pagamento, secondo lo stesso Cicerone, di dieci milioni di sesterzi (1). Deiotaro sbagliò ancora una volta schierandosi coi congiurati, ma dopo la battaglia di Filippi passò dalla parte del Secondo Triumvirato, riuscendo a rimanere in possesso del suo regno fino alla morte, nel 41 a.C. Quanto gli mancava in fiuto politico, decisamente lo compensava con una notevole dose di fortuna, per così dire.
Nota alla nota
1. Marco Tullio Cicerone, Orazioni Filippiche, 2, 94:
Rappresentanti del re, brave persone ma timide e poco esperte, senza un parere mio e degli altri amici del re, hanno pattuito un'obbligazione di dieci milioni, trattando l'affare in quell'appartamento delle donne dove si sono vendute e continuano a vendersi infinite cose.
Inutile sottolineare il tocco maschilista, se non misogino, dell'arringa, che ipotizza chissà quali commerci scaturenti da un inaccessibile “appartamento delle donne”.
Ecco che Antonio, dopo aver ricevuto una grossa somma di denaro, ha fatto affiggere il testo di un disegno di legge “presentato dal dittatore nel corso di un'assemblea”, in virtù del quale i Siciliani diventano cittadini romani; di quel disegno, finché il dittatore era vivo, non c'è stata nessuna menzione.
Cicerone sottintende che Antonio se l'è inventato per intascare la somma pagata dai rappresentanti dei Siciliani allo scopo di divenire cittadini romani. Il trucco era talmente semplice che se ne avvalse anche la sua consorte di quel tempo, Fulvia, come risulta dalla stessa lettera:
Non è rassomigliante la vicenda del nostro Deiotaro (2) ? Questi certamente era degno dell'acquisto di qualsiasi regno, ma non se Fulvia faceva da intermediaria.
L'indignazione dell'ex console per l'intervento di una donna in affari di stato non manca di un risvolto molto personale, e ben poco politico o etico: Cicerone infatti era stato avvocato di Deiotaro nel primo processo a suo carico e forse pensava di poter risolvere anche questo secondo inghippo, intascando lui, e non Fulvia, la notevole commissione di dieci milioni di sesterzi.
Note
1. Marco Tullio Cicerone, Epistole ad Attico, Libro XIV, 12, 1; lettera del 22 aprile 44 a.C.
2. Deiotaro, tetrarca della Galazia, in Asia Minore, è un buon esempio delle acrobazie richieste ai potentati del tempo dalle turbolente vicende della politica romana. Nella prima guerra civile si schierò dalla parte di Pompeo, ma Cesare lo perdonò, anche perché nel processo a suo carico venne difeso proprio da Cicerone. Dopo le Idi di Marzo l'assoluzione venne confermata da Antonio, o da sua moglie Fulvia, dietro il pagamento, secondo lo stesso Cicerone, di dieci milioni di sesterzi (1). Deiotaro sbagliò ancora una volta schierandosi coi congiurati, ma dopo la battaglia di Filippi passò dalla parte del Secondo Triumvirato, riuscendo a rimanere in possesso del suo regno fino alla morte, nel 41 a.C. Quanto gli mancava in fiuto politico, decisamente lo compensava con una notevole dose di fortuna, per così dire.
Nota alla nota
1. Marco Tullio Cicerone, Orazioni Filippiche, 2, 94:
Rappresentanti del re, brave persone ma timide e poco esperte, senza un parere mio e degli altri amici del re, hanno pattuito un'obbligazione di dieci milioni, trattando l'affare in quell'appartamento delle donne dove si sono vendute e continuano a vendersi infinite cose.
Inutile sottolineare il tocco maschilista, se non misogino, dell'arringa, che ipotizza chissà quali commerci scaturenti da un inaccessibile “appartamento delle donne”.
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