4.9.18

K299

# Quando i componenti del Secondo Triumvirato occuparono Roma, nel novembre del 43 a.C., emisero le famigerate liste di proscrizione più che altro allo scopo di far fuggire dall'Urbe i loro nemici, così da potersi concentrare sul regolamento di conti coi cesaricidi. Cicerone avrebbe potuto salvarsi, ma è possibile che non riuscisse a credere a quanto stava succedendo, così attese finché non fu troppo tardi; fu ucciso nei pressi di Gaeta, dopo essersi finalmente deciso a fuggire in Grecia. Marco Antonio gli fece staccare la testa e la mano con cui aveva scritto le orazioni contro di lui chiamate "Filippiche" (1); i macabri trofei rimasero appesi a lungo nel Foro romano, a eterna vergogna dei nuovi padroni dell'Urbe. 
Il risentimento di Antonio poteva risultare letale e implacabile, ma almeno una volta dovette arrendersi ad altre istanze (2). Nelle liste di proscrizione era compreso anche il nome di suo zio, Lucio Giulio Cesare, console nel 64 a.C., colpevole di aver contribuito a farlo dichiarare nemico pubblico, pochi mesi prima. Costui si rifugiò in casa di sua sorella Giulia, madre di Antonio, la quale venuta a sapere che i soldati lo cercavano si recò nel Foro, dove il figlio sedeva coi due colleghi, Ottaviano e Lepido, e lo redarguì come segue: "Sono qui per confessarti di aver ospitato e di ospitare tuttora mio fratello, autocrate (3), e che continuerò a tenerlo in casa finché non ucciderai entrambi: come ben sai, l'editto prevede le medesime pene per i proscritti e per chi li ospita."
Si può anche essere uno dei tre pilastri del mondo, ma la mamma è sempre la mamma: dopo qualche recriminazione sullo scarso sostegno ricevuto da lei nella faccenda del nemico pubblico, Antonio ordinò al console del 42 a.C., Lucio Munazio Planco, di emanare un decreto che graziava lo zio.
Plutarco dà un'altra versione della stessa storia (4). Quando i soldati arrivarono in casa di Giulia e cercarono di forzare la porta della stanza dove si era nascosto il fratello, lei si parò loro dinanzi gridando: "Non ucciderete Lucio Cesare se prima non avrete ucciso me, la madre del vostro comandante". Com'è ovvio i militari si guardarono bene dal fare alcunché potesse recarle danno, e Giulia riuscì quindi a salvare il ricercato.

Note
1. A quanto pare questo titolo, che rievoca le orazioni pronunciate da Demostene contro Filippo II di Macedonia tra il 351 e il 341 a.C., venne usato dallo stesso Cicerone, parlandone in tono scherzoso in una lettera a Bruto. 
2. Si veda: Appiano, Le guerre civili, IV, 37.
3. Appiano scrive in greco; questo era l'appellativo riservato a chi esercitava un potere assoluto. Del resto i triumviri non avevano alcun titolo legale che fosse previsto dall'ordinamento politico romano; l'autorità derivava loro dalle truppe occupanti la città.
4. Plutarco, Vite parallele, Vita di Antonio, 20.

Nessun commento: