21.8.18

K295

# Oltre all'influenza politica derivante dalla stirpe d'origine e dalle parentele acquisite per matrimonio, nell'antica Roma le donne disponevano di un potere economico in forza della loro personale ricchezza. Infatti secondo il diritto romano le matrone potevano ereditare i beni di famiglia, quindi molte erano ricche in proprio, a prescindere dall'ovvio connubio all'interno del patriziato.
Dice Appiano (1) che al tempo del Secondo Triumvirato (43 a.C.) con un editto i triumviri Antonio, Ottaviano e Lepido obbligarono le millequattrocento matrone più ricche a far stimare i loro beni per contribuire ciascuna, nella misura stabilita, alle spese di guerra. Le matrone non la presero affatto bene, ed organizzarono una dimostrazione nel Foro romano, avendo come portavoce Ortensia (2), che così si rivolse ai temibili interlocutori: "Voi ci avete privato ormai di padri, figli, mariti, fratelli; se ci togliete anche il patrimonio, ci ridurrete in una condizione indecorosa, indegna delle nostre origini, del nostro tenore di vita, della natura femminile. Perché dobbiamo versare contributi noi che non partecipiamo a posti di comando, magistrature, alla politica, insomma, oggetto da parte vostra di contese tali da aver portato ormai la patria alla rovina ? Muovete guerra ai Celti, ai Parti e noi non saremo da meno delle nostre madri, nell'aiutare la patria. Quando si tratta di lotte civili, invece, sappiate che non saremo mai e poi mai disposte a contribuire a che vi facciate guerra l'un l'altro."
Temendo la reazione popolare se avessero preso provvedimenti contro le dimostranti, i triumviri limitarono il contributo alle quattrocento matrone più ricche; si trattava della cessione a titolo di prestito della cinquantesima parte del patrimonio, e del versamento del reddito di un anno come contributo di guerra.

Note
1. Appiano, Le guerre  civili, IV, 32-33.
2. Era figlia dell'insigne oratore Quinto Ortensio Ortalo, console nel 69 a.C., citato da Cicerone nel "Bruto", fin dall'inizio, come il migliore della loro generazione (dopo di lui, pensava senz'altro, anche se non lo scrive mai, il vanitoso arpinate).

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