# Parlare della lingua inglese e prendere gli esempi da Shakespeare è talmente scontato da far sorgere il dubbio che, al contrario, sia stato proprio lui a dar vita alla parlata degli inglesi come la conosciamo ancora oggi.
Insomma, il genio incommensurabile di Shakespeare, di cui nemmeno i suoi conterranei riescono a farsi una ragione, al punto di aver escogitato le più stravaganti ipotesi su chi fosse realmente l'autore delle sue opere (1), ha preso una lingua barbara, senza nessun rapporto con la tradizione classica greca o latina (2), se non la comune origine indoeuropea, e l'ha trasformata in quella che sarebbe divenuta la lingua più parlata in ambito internazionale.
Note
1. Da Francis Bacon (1561-1626) a tutta una serie di nobiluomini dei suoi tempi, come se il figlio di un commerciante di pellami risultasse per definizione incapace di tanta elevatezza: un sintomo del sottofondo castale che non ha mai abbandonato la società inglese.
2. Del resto Shakespeare non era un letterato come Dante, e conosceva "poco latino, e ancor meno greco", ci informa Ben Jonson (1572-1637). A quanto pare il suo primo lavoro in ambito teatrale, appena arrivato a Londra dal suo villaggio natale, Stratford upon Avon, fu quello di posteggiatore abusivo di cavalli fuori dal teatro; pare davvero incredibile che abbia poi potuto scrivere roba del genere:
Not from the stars do I my judgement pluck;
And yet methinks I have astronomy,
But not to tell of good or evil luck,
Of plagues, of dearths, or seasons' quality;
Nor can I fortune to brief minutes tell,
Pointing to each his thunder, rain and wind,
Or say with princes if it shall go well
By oft predict that I in heaven find:
But from thine eyes my knowledge I derive,
And constant stars in them I read such art
As 'Truth and beauty shall together thrive,
If from thyself, to store thou wouldst convert';
Or else of thee this I prognosticate:
'Thy end is truth's and beauty's doom and date.'
Non ricavo i miei giudizi dalle stelle;
eppure penso d'esser ferrato in astrologia,
ma non predico la buona o la cattiva sorte,
pestilenze, carestie o il tempo che farà;
né posso divinare il prossimo futuro,
assegnando ad ognuno il proprio tuono, pioggia e vento,
o dicendogli se incontrerà il favore dei principi,
a mezzo dei presagi che spesso scorgo in cielo:
ma dai tuoi occhi ciò che so derivo,
e, stelle fisse, in loro leggo che
verità e bellezza prospereranno insieme,
se dall'egoismo ti disporrai alla generosità;
altrimenti questo posso pronosticare:
la tua fine sarà la rovina di verità e bellezza.
Insomma, il genio incommensurabile di Shakespeare, di cui nemmeno i suoi conterranei riescono a farsi una ragione, al punto di aver escogitato le più stravaganti ipotesi su chi fosse realmente l'autore delle sue opere (1), ha preso una lingua barbara, senza nessun rapporto con la tradizione classica greca o latina (2), se non la comune origine indoeuropea, e l'ha trasformata in quella che sarebbe divenuta la lingua più parlata in ambito internazionale.
Note
1. Da Francis Bacon (1561-1626) a tutta una serie di nobiluomini dei suoi tempi, come se il figlio di un commerciante di pellami risultasse per definizione incapace di tanta elevatezza: un sintomo del sottofondo castale che non ha mai abbandonato la società inglese.
2. Del resto Shakespeare non era un letterato come Dante, e conosceva "poco latino, e ancor meno greco", ci informa Ben Jonson (1572-1637). A quanto pare il suo primo lavoro in ambito teatrale, appena arrivato a Londra dal suo villaggio natale, Stratford upon Avon, fu quello di posteggiatore abusivo di cavalli fuori dal teatro; pare davvero incredibile che abbia poi potuto scrivere roba del genere:
Not from the stars do I my judgement pluck;
And yet methinks I have astronomy,
But not to tell of good or evil luck,
Of plagues, of dearths, or seasons' quality;
Nor can I fortune to brief minutes tell,
Pointing to each his thunder, rain and wind,
Or say with princes if it shall go well
By oft predict that I in heaven find:
But from thine eyes my knowledge I derive,
And constant stars in them I read such art
As 'Truth and beauty shall together thrive,
If from thyself, to store thou wouldst convert';
Or else of thee this I prognosticate:
'Thy end is truth's and beauty's doom and date.'
Non ricavo i miei giudizi dalle stelle;
eppure penso d'esser ferrato in astrologia,
ma non predico la buona o la cattiva sorte,
pestilenze, carestie o il tempo che farà;
né posso divinare il prossimo futuro,
assegnando ad ognuno il proprio tuono, pioggia e vento,
o dicendogli se incontrerà il favore dei principi,
a mezzo dei presagi che spesso scorgo in cielo:
ma dai tuoi occhi ciò che so derivo,
e, stelle fisse, in loro leggo che
verità e bellezza prospereranno insieme,
se dall'egoismo ti disporrai alla generosità;
altrimenti questo posso pronosticare:
la tua fine sarà la rovina di verità e bellezza.
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