Dal "Corpus Tibullianum"
Libro Terzo
XVI
Gratum est, securus multum quod iam tibi de me
permittis, subito ne male inepta cadam.
Sit tibi cura togae potior pressumque quasillo
scortum quam Servi filia Sulpicia:
solliciti sunt pro nobis, quibus illa dolori est
ne cedam ignoto, maxima causa, toro.
Sulpicia
Mi fa piacere che tu ormai ti conceda molte cose, indifferente
nei miei confronti, così che non mi rovinerò come una sciocca.
Preoccupati pure di una toga, di una sgualdrina che porta
un paniere pesante, piuttosto che di Sulpicia, figlia di Servio:
stanno in pena per me quanti sono molto addolorati
al solo pensiero ch'io mi conceda ad un letto ignobile.
traduzione di Annalisa Németi da:
Tibullo, Elegie, Oscar Mondadori
Nota
Per quanto 3 elegie prima scrivesse che "il peccato è gioia", la poetessa giudica le stesse circostanze in maniera molto diversa, se il suo innamorato mette gli occhi su di un'altra: la presunta peccatrice diventa di colpo una meretrice (che indossavano la toga, e non la stola come le matrone), una sgualdrina per di più, dal punto di vista di Sulpicia, di bassa estrazione sociale.
Un bell'esempio di relativismo, se ne ho mai letto uno.
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