21.8.05

016


# I sonetti di Shakespeare sono come le fughe di Bach, o le sonate per pianoforte di Beethoven, che uno li legge o le ascolta e dice: "Non si sa mai. Dovessi morire domani, la mia vita non l'avrò sprecata."
Questo poi è uno dei miei preferiti

When in disgrace with fortune and men's eyes,
I all alone beweep my outcast state,
And trouble deaf Heaven with my bootles cries,
And look upon myself, and curse my fate,
Wishing me like to one more rich in hope,
Featur'd like him, like him with friends possess'd,
Desiring this man's art, and that man's scope,
With what I most enjoy contented least;
Yet in these thoughts myself almost despising,
Haply i think on thee, - and then my state
(Like to the lark at break of day arising
From sullen earth) sings hymns at heaven's gate;
For thy sweet love remember'd such wealth brings,
That then I scorn to change my state with kings.

Quando inviso alla fortuna ed agli occhi degli uomini,
io tutto solo piango il mio reietto stato,
e turbo il sordo cielo con inutili lamenti,
e considero me stesso, e maledico il mio fato,
volendo essere uguale a chi è più ricco di speranze,
simile a lui d'aspetto, come lui circondato d'amici,
d'uno bramando l'arte, d'un altro il sapere,
di ciò che più mi piace meno soddisfatto;
in simili pensieri quasi disprezzandomi
per caso penso a te, - e allora il mio essere
(come allodola che all'alba spicchi il volo
dalla buia terra) canta inni ai cancelli del cielo;
perchè il ricordo del tuo dolce amore mi fa così ricco
che sdegno mutare il mio stato coi re.

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